La persona che si imbatte nell’oggetto/situazione della sua fobia mostrerà segni di timore o di disagio. In alcuni casi si può verificare anche un attacco di panico. Nella maggior parte dei casi, la persona è consapevole del tipo di fobia, ma comunque l’ansia e il meccanismo di allontanamento dalla situazione sono difficili da controllare e possono notevolmente ostacolare il normale comportamento dell’individuo o persino la sua salute.
Le fobie specifiche sono molto comuni e spesso iniziano durante l’infanzia o l’adolescenza continuando in età adulta.
Se si instaurano nell’adolescenza, è molto probabile che persistano anche all’inizio dell’età adulta. E se non vengono trattate possono divenire croniche. Inoltre, un individuo a cui sia stata diagnosticata una fobia specifica ha maggiori probabilità di sviluppare ulteriori fobie nella prima età adulta. La fobia scatena normalmente molto stress ed ostacola in modo significativo l’individuo che ne è colpito. Quindi, la diagnosi e il trattamento precoce anche di forme lievi di fobie specifiche è fondamentale per prevenire l’instaurarsi di casi conclamati di malattia ed ulteriori complicazioni psicologiche e fisiche.
Il metodo FEEL parte dal presupposto che la causa della fobia specifica risieda nell’esperienza traumatica che continua a governare la risposta della persona nel momento presente. Queste esperienze possono essere rappresentate da grandi traumi derivanti da un disturbo post-traumatico da stress (PTSD), una condizione caratterizzata da insonnia, ansia e fobie, oppure da traumi meno rilevanti che hanno avuto un impatto meno drammatico ma comunque negativo sulla personalità ed il comportamento. Ogni evento traumatico ha un processo di apprendimento.
Per completare il processo si dovrà passare attraverso quattro fasi, che definiremo similmente al processo digestivo come: digestione, assorbimento, metabolizzazione e assimilazione.
Quando lo stress viene vissuto può rimanere bloccato nel sistema informativo in associazione mentale con l’immagine originaria, compresi i suoni, i pensieri, i sentimenti e le sensazioni corporee.
La persona rivive addosso – in modo totalmente inconscio – le stesse sensazioni dell’esperienza traumatica, si sente emotivamente bloccata e ciò impedisce che avvenga l’apprendimento.
Il sistema informativo associato è la rete di memoria che coinvolge una parte specifica del corpo invischiata in quella particolare esperienza. L’evento è caratterizzato dalla produzione di un’attività elettromagnetica molto specifica per quell’esperienza che va ad attivare una particolare parte del cervello, un organo specifico o una particolare area del corpo fisico che è collegata alla rete energetica conosciuta dalla medicina tradizionale cinese come Meridiano.
Quindi è come se l’episodio post-traumatico da stress si “depositasse” all’interno del canale energetico creando un’occlusione che ne impedisce il normale flusso.
La rete di memoria tra la psiche, il cervello, il corpo e l’energia del campo elettromagnetico è nota come un circuito psico-neuro-somato-energetico. Quando si crea un’esperienza traumatica è come si generasse un corto circuito e tutti i pensieri, immagini, emozioni e sensazioni collegate al trauma riaffiorano alla memoria divenendo stimoli condizionanti.
Esperienze ripetute attraverso incubi e flashback o addirittura stimoli innocui che erano presenti al momento del trauma, rinforzano le reazioni somatiche e creando una sorta di gabbia psichica che trattiene il trauma in memoria.
La rete di memoria del corto circuito psico-neuro-somato-energetico può essere sollecitata continuamente da accadimenti quotidiani (anche non riconducibili al trauma originario) e l’individuo finisce per sentirsi emotivamente bloccato ed impossibilitato a proseguire il cammino d’apprendimento.
I meccanismi di difesa, in primis l’elaborazione mentale, agiscono creando distorsioni del trauma in modo da renderlo accettabile – quello che fa la psicoterapia, non risultando pertanto un metodo di guarigione risolutivo – ma non riescono ad evitare blocchi inconsci. In questo modo l’originaria emozione di paura/terrore generato dallo stress traumatico viene memorizzata nel nostro sistema, nella memoria implicita, e mai “sciolta”, così da poter essere liberata persino da uno stimolo non apparentemente collegato all’episodio vissuto.
Oppure liberata anche da qualche oggetto apparentemente marginale apparso, sulla scena del trauma, ai nostri occhi per poche frazioni di secondo e che magari non ricordiamo a livello conscio in alcun modo.
Ecco che spessissimo, nel 70% dei casi, abbiamo reazioni eccessive dinanzi ad oggetti-episodi che apparentemente non sono riconducibili ad una nostra esperienza diretta stressante.
Per stimolo non apparente non dobbiamo pensare necessariamente ad un oggetto specifico, ma anche a qualsiasi immagine ci possa evocare quell’oggetto. Ci sono persone che hanno la fobia dei ragni senza mai averne visto uno.
Per cui, anche se noi non ricordiamo il trauma e la sensazione fobica ci riaffiora perchè abbiamo visto un oggetto o sentito un rumore legato alla precedente situazione di pericolo e che lo stimolo stesso ha trasformato nell’oggetto della fobia.
L’attivazione di una parte di questo corto-circuito ad opera di un qualsiasi stimolo potrebbe attivare tutta la rete di memoria che affiora sotto forma di pensieri, immagini, emozioni, sensazioni, legati al trauma.
Lo sviluppo di una fobia specifica e il momento in cui si manifesta può essere influenzato da una varietà di fattori: il contesto familiare, la predisposizione genetica, le variazioni negli aspetti socio-culturali e lo stress.
Lo scopo del metodo terapeutico FEEL è quello di aprire questo corto circuito e completare il processo di apprendimento del trauma vissuto in modo tale che la sua metabolizzazione non ha più ragione di generare emozioni o sensazioni spiacevoli o dolorose.
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